Vivere con leggerezza, arrivare alle cose senza pesi sul cuore.
Essere disinvolti, veloci, delicati. Liberi ma non superficiali
Leggerezza come capacità di fluttuare, senza carichi, contrapposta alla pesantezza, quella sensazione di fastidio che invece tira verso il basso, fa affondare, opprime, stringendo in una morsa sempre più stretta.
Sarebbe bello riuscire ad essere semplici e profondi. Lievi nel modo di essere.
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I fardelli dell’animo
Italo Calvino ha dedicato alla leggerezza un meraviglioso saggio nelle sue Lezioni americane, identificandola come uno dei valori letterari basilari da conservare nel terzo millennio.
L’importanza di sottrarre alla pesantezza, e non ai pesi, è una riflessione sulla scrittura che ha senso anche dal punto di vista psicologico, rileggendo il pensiero dello scrittore in questa chiave.
Ognuno infatti porta i propri tormenti e disagi sul cuore, sulle spalle, nella testa.
Forse ci servono per non essere insignificanti, per rimanere con i piedi per terra e ricordarci la nostra dimensione, anche se a volte ci schiacciano come macigni.
Non si possono annullare però, non è possibile togliere niente alla loro consistenza e durezza.
Ma si può allentare la gravità con la quale li tiriamo a noi, il modo in cui diamo peso alle cose, le coloriamo di tinte più o meno forti, le investiamo di significati.
E molte volte esageriamo, non siamo lievi e senza accorgercene rendiamo denso e gravoso anche ciò che sarebbe facile.
Spesso siamo pesanti con noi stessi e con la nostra vita. Arriviamo alle cose colmi di convinzioni e ragionamenti.
Accogliamo qualcosa di nuovo come già scritto. Ci intossichiamo di preoccupazioni, dubbi, paure.
Diventiamo obesi mentali, rallentati in un metabolismo emotivo lento.
Facciamo gli accumulatori seriali di pensieri che non servono, viviamo nel superfluo incapaci di fare spazio al nuovo. Ci fissiamo sulle stesse cose.
Riempiamo la nostra mente senza smaltire considerazioni di troppo, sfoltire convinzioni. Ci carichiamo di pesi emotivi, ne facciamo bagaglio ovunque andiamo.
Dilatiamo le emozioni negative di esperienze passate e le portiamo appresso anziché disfarcene arrivando carichi ai nuovi incontri.
Ingombranti di aspettative, di dolori, di bisogni, alla fine schiacciamo desiderio, interesse, passione nelle nuove relazioni.
Non ce la facciamo ad eccitarci, coinvolgerci, a prendere il volo. Ci infiliamo nelle storie con zavorre imbarazzanti, con airbag esplosi chissà quando ma ancora paralizzanti.
Siamo pesanti quando ci ripetiamo in quello che diciamo e facciamo come esistessero solo gli stessi copioni e finali.
Pensando di funzionare solo sul dovere e sulla razionalità, inseguendo obiettivi e traguardi quotidiani.
Vivendo con il freno tirato. Rigidi nelle convinzioni, resistenti alle novità, congelati nei dubbi. Monotoni.
A volte quasi sedati, passivi. Difficili e noiosi per noi stessi oltre che per chi ci sta accanto.
Infilati in armature medioevali della nostra storia personale, freddi nei movimenti, nei pensieri, nelle emozioni.
Mettiamo peso nella nostra vita anche facendo spazio esclusivamente a quello che non va, avendo una visione egocentrica del mondo, dando spessore solo a noi stessi.
Oppure eccedendo nel controllo delle situazioni, diventando sempre più armati e contraffatti. Lamentosi di tutto e di tutti, interpretando la parte delle vittime sacrificali credendo di non avere controllo su ciò che ci accade. Disfattisti e autodistruttivi.
Un peso sopra il cuore
Ci diamo un carico gravoso quando non riusciamo più a creare piacere nella nostra vita resistendo ai desideri più profondi. Quando non sappiamo più inventarci qualcosa di diverso. Carichi di risentimento, tristezza, paura.
Il dolore a volte si deposita sul cuore e allora sentiamo un vero peso sul torace.
La scienza ha dimostrato che dolore emotivo e fisico coinvolgono le stesse aree cerebrali, sono sofferenze diverse ma connesse in modo intrigato.
È così che a volte appesantiamo anche il nostro muscolo cardiaco oppure ci ammaliamo in altri modi. Altrimenti mettiamo su chili, per difenderci e soffocare il disagio.
Siamo circondati da messaggi che ci dicono di essere sempre efficienti e produttivi, ma abbiamo anche bisogno di vuoto, di pause, di noia. Del niente.
Di scivolare in uno spazio mentale libero per nuove cose, intenzioni, sensazioni. Di mettere le ali, come promette di fare la pubblicità di una nota bevanda in lattina.
La leggerezza ci è necessaria non per aumentare le nostre prestazioni ma per risollevarci, non per programmare ma per fare accadere.
Le migliori intuizioni, rielaborazioni, idee si preparano proprio inconsapevolmente nel vuoto. Nello stallo psicofisico.
Sospendendo gli stessi pensieri possiamo paradossalmente movimentarci, toglierci opacità.
Scoprirci più elastici e meno seri. Rinnovarci, ritrovare piacere e desideri.
Questo può darci leggerezza.
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