Gli esseri umani posseggono una sofisticata matrice di sensi e meccanismi neurologici che danno origine alla propriocezione, cioè la capacità di percepire la disposizione e il movimento del proprio corpo nello spazio.
Mettiamo una mano dietro la schiena: nonostante non riusciamo più a vederla, sappiamo benissimo in che posizione si trova e se si sta muovendo o meno.
Il cervello è in grado di capire la posizione e i movimenti del nostro corpo grazie a una serie di informazioni provenienti da strutture apposite e organi di senso.
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I segnali dal nostro corpo
Uno degli apparati più importanti per l’equilibrio e la propriocezione è il sistema vestibolare: un insieme di tubicini all’interno del nostro orecchio, dentro i quali si trova un fluido che oscilla in risposta ai movimenti corporei; così, ad esempio, se ci troviamo a testa in giù il fluido si disporrà lungo la superficie superiore di questi piccoli canali.
Camminare, correre e anche gattonare sono movimenti che producono segnali specifici che il cervello riceve ed elabora per giungere alla conclusione che ci stiamo muovendo.
Anche la vista gioca la sua parte.
Immaginiamo di trovarci seduti su un treno fermo alla stazione e nel binario a fianco passa un treno ad alta velocità, per qualche secondo potremmo non essere più in grado di capire se è il nostro treno a muoversi o l’altro.
Questo perché le immagini in movimento possono essere interpretate dal cervello in tre modi:
- un oggetto esterno si sta muovendo,
- io mi sto muovendo,
- entrambi ci stiamo muovendo.
Come fa il cervello a capire quale delle tre ipotesi sia quella giusta?
Il cervello elabora gli stimoli
Il cervello riesce a giungere alla conclusione giusta tramite l’integrazione delle informazioni provenienti dalle diverse fonti.
Se il fluido all’interno dell’apparato vestibolare è fermo e i nostri muscoli non si stanno muovendo, ma l’immagine dell’oggetto è in movimento, il cervello conclude che è l’oggetto a muoversi e non noi.
Se ci troviamo su un veicolo in movimento e guardiamo fuori dal finestrino vediamo il paesaggio muoversi nel suo insieme, cosa che accade quando camminiamo o corriamo, tuttavia non ci stiamo fisicamente muovendo, il nostro corpo è fermo, il fluido all’interno dell’apparato vestibolare è fermo, non vi è nessuna percezione del ritmo associato al camminare o al correre.
Il cervello, quindi, riceve due messaggi contrastanti: la vista ci dice che ci stiamo muovendo e il corpo ci dice che siamo fermi. Come viene risolto il conflitto?
Una ipotesi è che il cervello giunga alla conclusione che questi siano sintomi da avvelenamento e che per far fronte a questa emergenza induca la nausea.
Anche se razionalmente siamo consapevoli di trovarci su un mezzo di trasporto, la parte più primitiva del nostro encefalo non conosce macchine, navi o aerei e pertanto non riesce a spiegarsi questa incongruenza di informazioni.
Perché alcune persone non sembrano soffrirne? Perché succede di più con alcuni veicoli e meno con altri?
L’ipotesi è che alcune variabili personali, ad esempio la predisposizione neurologica o la sensibilità a certe forme di movimento, o situazionali, ad esempio una strada dritta o piena di curve, possano spiegare la variabilità del fenomeno.