E poi tra di noi qualcosa si è rotto.

Si sono infiltrate incomprensioni, difficoltà, delusioni. Sono sorte distanze. Siamo diventati, in modo incomprensibile, estranei nella confidenza.

Adesso, dopo strappi profondi, è il momento di ristrutturare la nostra relazione. Oppure di rinunciare.

Ancora non lo so bene. Ma trascinarci in questo modo ci fa troppo male. Inventiamoci qualcosa di nuovo, smettendo di ripeterci.

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La danza di una relazione

Mi chiedo se la danza complicata di ogni relazione possa trovare in sé l’energia e la tenacia per ricomporsi. Per evolvere.

O se invece, ad un certo punto, perda il suo ritmo irrimediabilmente.

Fino ad ora ci si siamo urtati, pestati, difficile capire se siamo ancora in pista, se esistono margini di ripresa.

Bisogna rufolare dentro questa storia se abbiamo voglia di ricostruire, tirare fuori desiderio, impegno e tutto quello che di costruttivo ancora possiamo racimolare.

Metterli avanti, sopra ai dispiaceri e al risentimento. Sollevare la rabbia per comprendere quanta solitudine e tristezza ci stanno sotto.

Penso anche sia il momento di smettere di rimanere su chi ha ragione e chi torto ma identificare i nostri modi di interagire che non funzionano più.

Riflettere non in termini di persone, chi ha fatto meglio o peggio, ma di modelli.

Come tu attivi me e io a mia volta influenzo te, in una noiosa spirale senza fine.

Non pensare a cosa ci diciamo ma a come lo facciamo. Non ai contenuti ma al processo.

Alle emozioni che spalmiamo nei nostri modi di rivolgerci, parlare, ascoltarci l’un l’altro. Alla maniera abituale di trattare il conflitto, gestire la tensione.

Un nuovo modello di relazione

Ecco: dobbiamo rompere il nostro modello per ricostruirne uno nuovo.

Responsabilizzarci delle nostre emozioni, usarle come informazioni per capire cosa sta succedendo.

Ognuno deve rendersi conto, uscendo dal frastuono del dolore, che anche l’altro sta lottando interiormente.

Forse sarebbe meglio ragionare in termini di impegno e non di esito.

Abbandonare rimproveri, critiche, rimpianti che rendono il cuore così pesante. E smettere di combattere su chi deve cambiare, innescando una lotta di potere inutile.

Impegniamoci a muovere cambiamenti, ognuno per quanto ne è in grado, per poi rinnovare anche i sentimenti.

Ma nel tentativo di ritrovarci, vedo del tutto inutile sotterrare e nascondere le nostre fratture.

Annullare il dolore e ripartire da dove ci siamo lasciati è come togliere dignità alla nostra sofferenza.

E’ impossibile prendere una gomma e cancellare quello che non ci piace, ridisegnandoci sopra nuovi percorsi.

Non si può rimettere tutto a posto perché adesso non siamo più quelli di prima e le cose devono trovare posti nuovi.

Non possiamo prendere Attak, adesivo universale, e rincollare i pezzi della nostra storia, così come si aggiustano gli oggetti danneggiati.

Usare questa colla trasparente a tenuta forte per far sparire le rotture. Il restauro che ci attende non deve rimettere a nuovo.

Valorizzare i punti di rottura

Credo ci sia bisogno invece di dare consistenza alle nostre cicatrici, prenderne consapevolezza ed elaborarle.

Mi viene in mente l’antica arte giapponese del kintsugi.

Quel raffinato procedimento di riparazione attraverso il quale il vasellame rotto viene accomodato riattaccando i cocci con resina collante mista a oro, argento o platino.

Una tecnica originale che insegna a non cancellare i segni delle spaccature ma anzi a valorizzarle.

Arricchito dalle nuove venature, il vaso riparato in questo modo diventa prezioso, unico e irripetibile, decorato dai segni della sua storia. Una procedura dal significato profondo, a livello simbolico.

Che ci fa capire come le rotture, i contrasti, le cicatrici, anche in una relazione, sono segni importanti dalle quali può nascere quacosa di nuovo.

Ci ricordano le sofferenze e i passaggi che ci hanno portato dove siamo.

Testimoniano che ce l’abbiamo fatta, dopo tutto, abbiamo imparato qualcosa, siamo diventati resilienti. Che sono stati intrapresi nuovi percorsi.

Che qualcosa di riparato può farsi più forte e bello.

Che si può abbracciare il danno, compiacersi delle ferite, esibire le proprie rughe con naturalezza. Che non si deve buttare ciò che si rompe perchè rottura non vuol dire fine.

Le fratture, se le sappiamo utilizzare, possono rinsaldarci e renderci ancora più resistenti. Sono opportunità di consolidamento, anche se dolorose.

Senza rimuginare sul passato, appropriamoci del potere di gestire le nostre difficoltà, di fortificarci sulle fragilità invece di sentirci sopraffatti, piccoli e spaventati.

Credo sia questa la strada per ritrovarci, ricostruire, rinnovarci. Proviamo.

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