Non sappiamo se un giorno, tra i compiti formativi della nostra scuola, sarà contemplata l’educazione ai comportamenti umani essenziali come l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia, l’arte di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare.
Tutte cose meravigliose che insieme potrebbero portare civiltà nelle strade e cura di se stessi e degli altri nelle relazioni.
La nostra scuola e la nostra cultura per ora sono fissate sulle capacità scolastiche, su standard limitati sempre più uniformati; ignorando l’intelligenza emotiva, incredibilmente importante invece ai fini del nostro destino personale e sociale.
Si guarda soprattutto al quoziente intellettivo che però, come dimostrano gli studi, non è garanzia di serenità e successo professionale. E si tralascia quello che le moderne neuroscienze dicono: che il nostro sviluppo cognitivo ed emotivo sono indissolubilmente legati.
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L’importanza dell’intelligenza emotiva
Così trascuriamo l’intelligenza emozionale, quella meta abilità che determina quanto bene riusciamo a servirci delle nostre altre capacità, comprese quelle intellettuali.
Questa viene considerata solo nella cultura aziendale: nelle assunzioni ed imposta nella formazione; perché si è capito quanto sia fondamentale per realizzare obiettivi di business e team di successo.
Per il resto, almeno nel nostro Paese, l’educazione emozionale è lasciata al caso.
Eppure i fattori predittivi più significativi di successo nella vita, professionale e scolastica ma anche personale intima, si riferiscono alla possibilità di gestire frustrazioni, controllare emozioni, andare d’accordo con altre persone. Essere intelligenti emotivamente.
Avere vantaggi rispetto alla possibilità di essere contenti ed efficaci.
Capaci a livello intrapsichico di costruirci un modello attento di se stessi e saperlo usare efficacemente, muoversi bene nelle relazioni comprendendo e interagendo in modo collaborativo con gli altri.
Saper usare informazioni emotive per migliorare il pensiero, risolvere problemi, decidere come comportarsi.
Si è visto ad esempio che il quoziente emotivo è predittivo della capacità dei bambini di sviluppare adeguate relazioni con i coetanei, andare d’accordo in casa, sviluppare una visione equilibrata della vita, e raggiungere il loro potenziale accademico a scuola.
L’intelligenza emotiva è un’attitudine fondamentale.
Comprende la capacità di tenere a freno gli impulsi, leggere i sentimenti intimi degli altri, gestire le relazioni.
Competenze importanti alla base di volontà, motivazione, entusiasmo, partecipazione, compassione.
Cose preziose di cui abbiamo bisogno per contrastare la miseria della nostra vita emotiva sociale.
E’ stato lo psicologo statunitense Daniel Goleman a rendere popolare questo concetto, da lui definito come la capacità di motivare se stessi, di persistere nel perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, di controllare gli impulsi, di modulare i propri stati d’animo evitando che la sofferenza ci impedisca di pensare, di essere empatici e di sperare…
Essere intelligenti dal punto di vista emotivo, secondo Goleman, vuol dire prima di tutto conoscere le proprie emozioni, esserne autoconsapevoli. Riconoscere i sentimenti, capire cosa sentiamo.
Significa inoltre poter condurre le emozioni: sapersi calmare, liberarsi da ansia, tristezza, rabbia, riprendersi dalle sconfitte. L’arte di tranquillizzare se stessi, strumento psichico essenziale.
E poi gestire le emozioni, raccoglierle per guidare il raggiungimento di obiettivi, automotivarsi nonostante i dubbi.
Essere empatici, consapevoli di esigenze, bisogni e interessi altrui. Saper leggere gli altri.
Gestire le relazioni attraverso competenze sociali, abilità che ci permettono di stare bene con gli altri, risolvere conflitti, essere efficaci e amati.
Tutti siamo dotati di abilità intellettuali ed emozionali, ognuno è più o meno competente in questi ambiti diversi.
Nasciamo con una eredità emozionale biologica, le esperienze e gli insegnamenti che apprendiamo da bambini e da adolescenti, a casa e a scuola, ci rendono più o meno abili.
Migliorare il proprio quoziente emotivo
Però i circuiti cerebrali sono straordinariamente plastici, si può diventare più esperti dal punto di vista emozionale. Imparando nuove competenze.
Si è visto ad esempio, attraverso diverse esperienze statunitensi realizzate negli ultimi quindici anni, che programmi per studenti volti al controllo degli impulsi e alla gestione della rabbia, portano ad abbassare i tassi di abbandono e di violenza.
In scuole per l’infanzia con classi di bambini con bisogni speciali (disturbo da deficit di attenzione, iperattività), corsi di intelligenza emotiva hanno migliorato concentrazione e attenzione e il recupero da emozioni sconvolgenti, migliorando la resilienza.
Uno studio su larga scala condotto dallo psicologo Roger Weissberg, dell’Università dell’Illinois, pubblicato nel 2011 sulla rivista Child Development, ha coinvolto numerose scuole di ordine e grado all’interno delle quali sono stati promossi programmi di educazione sociale ed emotiva.
I risultati sono incoraggianti anche se discussi: l’inserimento di questo tipo modulo non solo migliora la media del rendimento scolastico ma aumenta atteggiamenti positivi verso se stessi (maggiore senso di auto-efficacia, fiducia, continuità), incrementa comportamenti pro-sociali (gentilezza, condivisione, empatia), migliora l’atteggiamento degli studenti verso la scuola, riduce depressione e stress tra gli studenti.
Diminuisce inoltre problemi di condotta e di comportamenti a rischio. Prevenendo la violenza.
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