La terapia narrativa si fonda sull’ipotesi che la forma del discorso con cui le persone attribuiscono significato alla loro esistenza sia storica e narrativa. Narrativa è quella forma che rappresenta la vita come uno schiudersi temporale. Anziché guardare alle persone come ad una cosa, del tipo un maschio o un depresso o un’anoressica, la terapia narrativa considera  le persone come delle storie uniche; le persone, infatti, attribuiscono significato agli eventi che accadono e alle azioni che intraprendono attraverso i resoconti che costruiscono sulle proprie vite. La cultura in cui una persona vive produce uno specifico repertorio di storie di vita. Tali storie sono spesso interiorizzate ed utilizzate dalle persone per dare valore alle loro particolari esistenze; tuttavia queste storie fornite dalla cultura sono spesso costrittive e colpevolizzanti. Il lavoro della terapia narrativa è dunque quello di aiutare i clienti a trasformare questi racconti culturali interiorizzati in racconti che includano maggiormente e riconoscano il potere personale della persona e la sua responsabilità.

Il focus principale della terapia narrativa è sulle interpretazioni o sui significati che le persone attribuiscono agli eventi delle loro esistenze. La comprensione interpretativa che le persone hanno degli eventi può limitare o accrescere la loro possibilità di azione. I terapeuti narrativi aiutano quindi i clienti a produrre interpretazioni di se stessi e delle situazioni più aperte e maggiormente comprensive della variabilità contestuale. Aspetti di sé nascosti da interpretazioni riduttive possono infatti venire alla luce se considerati secondo una più aperta comprensione narrativa.

La terapia narrativa ha messo definitivamente in discussione l’idea che i clienti siano degli oggetti che devono essere osservati e classificati da un terapeuta-osservatore, impassibile e neutrale. Con l’introduzione dell’uso dei team di riflessione come parte del processo terapeutico, il concetto del terapeuta come partner di un dialogo collaborativo  è diventato un tema centrale della terapia narrativa. L’accresciuto utilizzo dei team di riflessione ha permesso di superare la sensazione dei clienti di essere oggetti da osservare ed analizzare, un’impressione reificata dallo specchio unidirezionale dietro il quale si riuniscono sconosciuti osservatori. Lo specchio unidirezionale è una dimostrazione di quella convinzione secondo la quale i clienti sono oggetti sottoposti alla visione di terapeuti esperti, estranei ai loro problemi. Attraverso l’osservazione, gli esperti possono individuare il tipo di problema portato dal cliente e quindi prescrivere di cosa egli avrebbe bisogno per risolvere quel problema.

Nell’approccio con i team di riflessione, invece, la terapia è condotta da un gruppo di terapeuti e non da un singolo terapeuta.  Alcuni membri del gruppo servono da osservatori del lavoro terapeutico, mentre uno solo funge da terapeuta principale. Gli osservatori vengono fuori dallo specchio unidirezionale per entrare nella stanza in cui ha luogo la terapia. A vari intervalli, gli osservatori coinvolgono i clienti in conversazioni che riguardano l’esperienza terapeutica e il terapeuta stesso. Il gruppo di terapeuti e i clienti riflettono insieme e si domandano se il processo terapeutico stia risultando utile o meno e che cosa i clienti stessi e il terapeuta possono fare  per il raggiungimento dei risultati desiderati. L’implicito messaggio contenuto nel processo di riflessione è che il controllo e la responsabilità del lavoro terapeutico sono condivisi tra i membri del gruppo di  terapeuti ed il cliente. La considerazione alla base del tema che considera il cliente e il terapeuta come partner del processo è che la terapia è una specifica attività discorsiva e interpersonale, non l’attività di un soggetto conoscitore che parla per capire un cliente, come se questi fosse un oggetto posto a distanza.

Quando una persona richiede una terapia, il terapeuta ad orientamento narrativo lavora insieme a lei per decostruire la sua trama dominante. Il primo passo per superare una storia personale interiorizzata, culturalmente imposta, è quello di portare questa storia alla consapevolezza. Articolando la storia dominante, i clienti diventano consapevoli di come essa abbia operato per produrre alcune interpretazioni distorte e limitate degli eventi della loro vita. Una volta individuata la storia dominante, si può procedere ad una sua analisi e decostruzione. Nella fase di decostruzione, ciò che era stato dato per scontato viene messo in discussione, al punto che la storia di vita dominante inizia ad apparire semplicemente una delle possibili visioni del sé della persona, non necessariamente quella corretta. La storia culturale inizia dunque a perdere la sua dominanza o il controllo sulla vita del cliente. Il movimento decostruttivo rende possibile la sostituzione di una storia di vita del cliente fornita socialmente con una storia che incorpora i più complessi eventi della vita e che posiziona il cliente come agente e protagonista responsabile della propria storia. Nell’ambito della terapia narrativa sono state inventate diverse tecniche per favorire il processo di decostruzione. Le più rilevanti sono la cosiddetta tecnica degli eventi eccezionali (unique outcome) e la tecnica definita di esternalizzazione del problema. Nella tecnica degli eventi eccezionali, ai clienti è chiesto di ricordare gli eventi che sono stati sottostimati e lasciati fuori dalla trama dominante. Il riconoscimento degli eventi che non possono essere integrati dentro la trama dominante serve per invalidare la trama dominante e aprire la strada allo sviluppo di una nuova e più completa trama, che includa gli eventi e le azioni al momento richiamati ma precedentemente omessi.

Nell’esternalizzazione del problema, si chiede ai clienti di considerare il problema come qualcosa di esterno alla persona, non come parte di ciò che essa è. Ad esempio, ai clienti che stanno soffrendo di disturbi anoressici è chiesto di considerare l’anoressia come qualcosa di altro rispetto a sé, qualcosa che sta cercando di sconfiggerli e di prendere il sopravvento sulle loro vite. Ad essi si chiede di ricordare le volte in cui hanno combattuto con successo l’anoressia: il ricordo di queste volte li indurrà a considerare le loro energie e le loro vittorie sui problemi avvenute nel passato come parti integranti delle nuove storie che stanno elaborando sulle loro vite.

Il lavoro di decostruzione della trama dominante e di ricostruzione di una nuova trama ha luogo per mezzo di un dialogo collaborativo tra cliente e terapeuta. La nuova trama emerge dalla decostruzione della storia dominante ma non viene stabilita dal cliente in anticipo o intenzionalmente programmata. Essa non si origina dalla semplice adesione ad una trama alternativa, già disponibile, definita socialmente. E’ necessario integrare i contenuti della vecchia storia con i contenuti resi disponibili dal lavoro terapeutico. I nuovi contenuti richiedono una trama che riconosca anche l’agentività del sé della persona (attraverso l’esternalizzazione del problema) e che permetta una revisione più profonda dei significati precedentemente attribuiti agli eventi della vita passata. L’attribuzione di auto-responsabilità rispetto alle azioni precedenti e la re-interpretazione dei significati delle azioni degli altri sono anch’esse dimensioni di mutamento che intervengono nel momento in cui gli eventi vengono ad essere riconfigurati all’interno di una nuova storia.

La revisione della trama di vita di una persona modifica, dunque, il significato attribuito agli eventi e agli accadimenti passati e serve per la riprogettazione del futuro. L’epilogo della nuova trama implica un set differente di azioni future. Il significato mutato del sé, generato dalla nuova storia, mette in crisi, infatti, i comportamenti ed i progetti per il futuro che erano stati prodotti entro la vecchia storia dominante.

Il lavoro terapeutico, nell’ambito della terapia narrativa, è rivolto anche alla produzione di una visione unificata del sé. Gergen ha notato come, nella società contemporanea occidentale, le persone siano spesso sommerse da una molteplicità di storie dominanti. I problemi dei clienti possono derivare dalla difficoltà nel trovare una storia che integri la loro personalità. Ancora, lo sviluppo di un’esistenza dotata di significato sembra richiedere una trama sufficientemente comprensiva da includere la varietà delle attività e degli obiettivi intrapresi dagli individui. Kerby, in “Memory, Identity, Community: The Idea of Narrative in the Human Sciences”, scrive: “C’è ancora, io credo, il legittimo, sebbene spesso inconscio, desiderio d’unificazione; esso è fondamentale, infatti, per generare uno stare con gli altri significativo”. Secondo l’esperienza dei terapeuti narrativi, quando viene decostruita la storia culturalmente dominante, la nuova storia che emerge per l’identità del cliente è più complessa e più integrata della vecchia storia dominante.