C’è un momento particolare nella nostra giornata, delicato e intimo, in cui ci sentiamo più vulnerabili. Quello della sera, quando stiamo per addormentarci e prendiamo distacco dal mondo reale.

In cui è necessario allentare il controllo, abbandonarci al nulla per avventurarci in una dimensione senza contorni. Un passaggio non sempre disinvolto. Entrare e rimanere nel sonno può risultare complicato.

Ed è così anche per i più piccoli. Il momento della nanna è impegnativo, spesso faticoso.

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La nanna dei neonati

Si tratta di un distacco difficile da gestire, durante il quale sono più forti i bisogni di contenimento, rassicurazione, protezione, contatto.

Soprattutto per il neonato che vive una forte dipendenza materna. Non c’è niente di automatico e naturale per i più piccoli nel calmarsi da soli, addormentarsi in un lettino senza nessuno e dormire molte ore di seguito.

Il loro modello di sonno è diverso dal nostro, nei primi mesi dormono per periodi più brevi intervallati da piccole veglie, hanno più cicli REM.

Ma soprattutto la vita psichica non ha interruttori on-off e la genitorialità non ha sconti notturni.

Il mito del lettino da solo ad ogni costo è una costruzione culturale di una società a cui piace spingere l’indipendenza precoce, l’efficienza e la solitudine.

Che riconosce i bisogni di contatto, vicinanza, intimità alla coppia ma non al cucciolo, nel letto.

Trascura che per diventare autonomi è necessario passare da un’infanzia di accettazione, accudimento, contenimento, dipendenza.

Che più si ha modo di sperimentare queste condizioni, meglio ci equipaggiamo di strumenti emotivi necessari per emanciparsi, svincolarsi, rendersi indipendenti. Che è importante consolare, accogliere e coccolare il nostro cucciolo per un attaccamento sicuro, di giorno come di notte.

Lasciarlo solo forzatamente per la nanna – come alcune pratiche di addormentamento repressive, militari e dannose propongono, – può essere angosciante, provocare ansie e paure.

Le ideologie culturali e i valori condivisi occidentali si preoccupano più di ciò che vogliamo che i bambini diventino piuttosto che capire chi sono veramente e di cosa hanno bisogno – osserva il Dottor James McKenna, professore di antropologia e direttore del Laboratorio di Ricerca sul Sonno Materno-infantile dell’Università di Notre Dame negli Stati Uniti, esperto di fama mondiale per gli studi sul sonno condiviso in relazione all’allattamento.

Grazie al suo accurato lavoro la nanna nel lettone è stata rivalutata dal punto di vista scientifico.

I vantaggi del cosleeping

Numerose evidenze sono infatti a favore del sonno condiviso:

  • è più sicuro che lasciare dormire il neonato da solo. Se praticato secondo le dovute norme di sicurezza, statisticamente diminuisce il rischio di mortalità infantile tra cui la sindrome di morte improvvisa del lattante (SIDS).
  • i piccoli dormono più tranquillamente con indici fisiologici stabili – temperatura, ritmo cardiaco, respirazione, livelli dell’ormone dello stress – e si svegliano e piangono meno frequentemente durante la notte. Madre e bambino che dormono insieme sono fisiologicamente sincronizzati: movimenti e respirazione di uno influenzano l’altro.
  • è correlato ad una maggiore autostima e indipendenza, minore ansia, riduzione delle paure notturne. Anche meno problemi psichiatrici.
  • facilita l’allattamento al seno e il sonno della mamma, rendendo più agevoli le diverse poppate notturne.
  • aumenta la produzione di ossitocina, l’ormone della felicità.
  • insieme all’allattamento al seno senza restrizioni, è una condotta coerente con le teorie dell’attaccamento sicuro.

E poi realizza quella vicinanza, quell’intimità che fa bene a tutti, compresi i genitori.

Il sonno infantile solitario del resto è una pratica occidentale relativamente giovane. In tempi passati era normale dormire tutti insieme. E oggi continua ad esserlo in molte altre culture.

Secondo studi antropologici, il cosleeping (termine inglese per indicare il sonno condiviso) è la norma culturale della maggioranza della popolazione mondiale.

Più della metà dei bambini nelle varie culture dorme nella stessa stanza o nel letto dei genitori. In Giappone succede solitamente fino all’adolescenza, ad esempio.

Addormentarsi nel letto con mamma e papà non è necessario per crescere bene, non esistono regole o ricette, si tratta semplicemente di una scelta, un’opportunità. Che deve però liberarsi di connotazioni insensate e mitologiche.

Il cosleeping non è pericoloso, non è un rimedio per disturbi del sonno. Le famiglie che scelgono di condividere il letto, così come si fa per la tavola da pranzo, non sono iperprotettive, promiscue o disturbate.

Non danneggiano la crescita dei loro figli dal punto di vista cognitivo, sociale o comportamentale, come indica la scienza. Le ricerche dicono che tra i cinque e i dieci anni comunque tutti imparano a dormire da soli. Nessun dato ha mai confermato invece che lasciar piangere i bambini nel letto faccia loro bene.

E la realtà notturna delle camere da letto alla fine è più confusa di quanto si pensi.

Non sono rare situazioni di cosleeping part time, con bimbi che arrivano nel lettone alle tre di notte, papà usurpati del loro posto, intrecci di corpi sotto le lenzuola.

Perché ci si cerca anche di notte e quando le nostre difese sono abbassate siamo per fortuna più propensi a fare spazio all’altro, nonostante il giorno si creda che ognuno debba stare al proprio posto.

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