L’idea di come si debba essere maschio o femmina, di ciò che è ritenuto appropriato per ogni sesso, di cosa sia la mascolinità e la femminilità è segnata culturalmente, ribadita in modo ossessivo da quando si nasce.

Sulla base di stereotipi riduttivi e semplificati si formano aspettative, convinzioni, credenze comuni che influenzano gli stili educativi, il modo di interpretare comportamenti, di costruire le relazioni.

Limitando la possibilità di esprimere il genere in modo libero.

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Differenze tra lui e lei

La letteratura scientifica ha dimostrato che ci sono differenze nel modo in cui vengono interpretate, accettate e trattate le emozioni di lui e di lei.

Per esempio è stato verificato che i genitori si impegnano maggiormente a parlare di emozioni con le figlie e tendono a spazientirsi, essere punitivi o deridere i figli se si dimostrano timorosi, esitanti, poco decisi nelle situazioni.

Le femmine hanno in genere più probabilità di acquisire gli strumenti necessari per far fronte alle emozioni negative, ai sentimenti indesiderati e gestire le relazioni.

I maschi tendono a rimanere impreparati sotto questo aspetto, da loro ci si aspetta il silenzio delle emozioni.

I ragazzi sono più orientati ad esprimere la rabbia, le ragazze la tristezza.

Viviamo in una cultura che rafforza assertività, espressività e competitività al maschile.

Comportamenti di cura, dipendenza, protezione al femminile.

Non servono del resto gli studi per rendersi conto delle differenze di stimoli offerti ai bambini sulla base del sesso di appartenenza.

Bambini e bambine sono destinati a giocattoli, atteggiamenti e anche sentimenti diversi. A partire dai supereroi coraggiosi e audaci per lui e le principesse passive e belle per lei.

Le bimbe possono rimanere introverse e timide e stentano a trovare modelli e tenaci che non siano capricciosi. I maschi hanno invece più difficoltà a incontrare esempi miti, riservati e tranquilli.

L’assertività è vietata alle femmine, la debolezza ai maschi. Nella letteratura per i più piccoli in genere i personaggi timidi sono infelici e problematici se maschili, docili e dolci se femminili.

La timidezza è disadattiva per i maschi

Bambini: la timidezza è più svantaggiosa per i maschietti

Un interessante studio di Laura Doey e collaboratori dell’Università di Ottawa in Canada (2013) suggerisce che la timidezza rappresenta un aspetto della personalità molto più svantaggioso in un maschio che in una femmina, esponendolo a rischi maggiori.

Ci sono prove che i ragazzi introversi, inibiti o impacciati, che tendono a ritirarsi nelle situazioni sociali, sono visti più negativamente dai coetanei, dai genitori e dagli insegnanti rispetto alle ragazze che esprimono lo stesso tratto.

Socialmente, dunque, i bambini chiusi, non conformi alle norme culturali maschili di affermazione e competitività, sono penalizzati.

Anche se le ricerche dimostrano che la timidezza è uniformemente distribuita tra i due sessi in età prescolare, per i maschi può comportare più rischi come solitudine, depressione e bassa autostima.

Verso i 9-10 anni, infatti, le indagini rivelano che più del doppio delle bambine si dichiara timida rispetto ai bambini. Differenza che persiste per tutta l’adolescenza.

Questo fa supporre che i maschi, crescendo, imparino a nascondere i loro imbarazzi, più che acquistare intraprendenza. Perché la caratteristica timidezza, ereditabile biologicamente e perfettamente normale, nei maschi è considerata segno di debolezza, qualcosa in meno.

Esitare, provare paura o ansia non si addice allo stereotipo del maschio forte e coraggioso.

Anche numerosi studi di psicologia sociale indicano che l’uomo adulto, quando non è macho, non piace, che dolcezza è associata a debolezza e umiltà a sottomissione nella mentalità comune, tratti fortemente rifiutati in un maschio.

I bambini riservati e chiusi sono tendenzialmente incoraggiati dai genitori ad essere assertivi, a non fare le femminucce mentre la timidezza nelle ragazze è interpretata come tranquillità.

Studi più approfonditi hanno indicato interazioni meno positive tra madri e ragazzi chiusi rispetto a madri e ragazze con la stessa caratteristica.

Anche gli insegnanti di bambini della scuola primaria rispondono con maggiore indifferenza verso le emozioni negative dei maschi rispetto alle femmine.

Tendono a elogiare i ragazzi per comportamenti schietti e intraprendenti e le ragazze se stanno tranquille e zitte. Un bambino riservato inoltre rischia di più il rifiuto dal gruppo dei coetanei rispetto ad una bambina

Anche secondo indici neurochimici i maschi risultano svantaggiati.

E’ stato osservato che in età prescolare i timidi, rispetto alle timide, hanno livelli di cortisolo – l’ormone dello stress – più elevati durante tutto il giorno.

E questa differenza rimane nel tempo, fino all’adolescenza. Sembra inoltre che la timidezza costituisca fattore di rischio di risposte disadattive allo stress, come abuso di sostanze, nei maschi, e elemento protettivo invece nelle femmine, riducendo la possibilità di dipendenza e abuso di sostanze.

Brunella Gasperini per Psicologia24