Quando un gattino, verso l’ora di pranzo, comincia a strusciarsi, a fare le fusa e a miagolare insistentemente, non ti sta dicendo: Dammi i croccantini, sta dicendo Fammi da mamma.
Questa fu una descrizione che l’antropologo Gregory Bateson utilizzò per introdurre il concetto di comunicazione analogica. Una comunicazione che funziona per analogia, appunto.
Tutti comunichiamo analogicamente. Tutti, cioè, oltre alle parole utilizziamo altri mezzi di comunicazione che rappresentano il concetto che vogliamo esprimere.
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Agli italiani, per esempio, viene riconosciuto il fatto di essere grandi comunicatori gestuali, di usare cioè i gesti per esprimere o colorire un concetto: una cosa che ne esprime un’altra.
Addirittura, l’economista italiano Piero Sraffa mise in seria difficoltà uno dei più grandi filosofi contemporanei, Ludwig Wittgenstein, quando, passandosi le dita sotto il mento dall’interno verso l’esterno nel tipico gesto napoletano indice di menefreghismo, gli chiese: E quale sarebbe la forma logica di questo?. Wittgenstein si accorse che tutto ciò che aveva scritto fino allora (in buona sostanza un solo libro) andava del tutto rivisto (e ne scrisse un secondo, ancora più dirompente del primo).
Comunichiamo quindi con altro, oltre che con le parole.
A volte per colorire o rafforzare ciò che stiamo dicendo, come quando il bambino a cui non vanno i broccoli gira la testa dall’altra parte mentre dice Non mi va.
Altre volte per trasmettere un intero concetto, come quando, senza parole, alziamo il dito medio verso qualcuno che ci ha fatto uno sgarro.
Possiamo dire che comunichiamo sostanzialmente attraverso due moduli.
Il primo è detto digitale o numerico, perché può essere facilmente quantificato, reso in modo chiaro e cristallino: se dico tavolo non intendo gatto. Questo modulo è composto essenzialmente dalle parole, dette o scritte.
Il secondo modulo è detto analogico, perché comunica appunto per analogia: non è una rappresentazione fedele di ciò che si intende, è qualcosa che gli somiglia o che lo richiama, o che, per convenzione, indica quella cosa.
E così il gatto che si struscia non ci chiede chiaro e tondo Dammi i croccantini, ma usa una serie di comportamenti (strusciarsi, miagolare, fare le fusa…) tesi a rievocare il sistema di accudimento con la madre, che tra i vari compiti aveva anche quello di nutrirlo.
Lo stesso vale per gli esseri umani, e al lettore sarà ora più chiara la frase che i Baci Perugina riportano da anni nei loro foglietti: Un bacio vale più di mille parole (che poi s’intenda il bacio delle labbra o il bacio di cioccolata è tutt’altra questione).
Per lo stesso motivo, un sorriso comunica, per analogia, felicità, piacere, soddisfazione (e un sacco di altre cose), ma con precisione nessuna di queste: è un sorriso di gioia o di malizia, sincero o accondiscendente?
Tutti comunichiamo costantemente tramite analogie, oltre che con le parole. Lo facciamo tutte le volte che utilizziamo la comunicazione non verbale, che può essere dinamica o statica.
Quella dinamica è data, ad esempio, da gesti, espressioni facciali, toni di voce ecc. Quella statica è invece data da elementi come l’abbigliamento e gli accessori che indossiamo.
Ma a che serve saperlo?
Di Renzi e Berlusconi è stato detto che si somigliano molto, in molti aspetti. Che sia vero o no, di sicuro entrambi hanno dato largo spazio allo studio della comunicazione, sia nei suoi aspetti digitali che analogici.
Sapere come gli uni si incastrano con gli altri può rendere la comunicazione più efficace, più convincente, più persuasiva.
Alcuni studi mostrano come tendiamo a votare i politici con una voce più grave, rispetto a quelli con una voce più acuta; e fare un manifesto propagandistico in cui l’immagine del politico pone in bella mostra la sua mano sinistra con l’anulare cinto da una fede nuziale… beh, non devo spiegarvi quale significato vuol veicolare.
A noi che non dobbiamo essere eletti, sapere di comunicazione digitale e analogica può comunque tornare utile.
Se infatti la comunicazione digitale è molto ricca dal punto di vista del contenuto (come accennato, se ti dico che in casa mia manca un tavolo sono piuttosto certo che non ti presenterai con un gatto), è molto povera dal punto di vista della relazione, cioè di tutti quegli aspetti che ci dicono che tipo di rapporto tu ed io stiamo intrattenendo.
Ad esempio, nel film The Prestige la moglie di uno dei due protagonisti gli rimproverava il fatto che a volte il suo Ti amo era sincero, a volte no (i curiosi dovranno vedere e aspettare la fine del film per svelare l’arcano).
E se ti dico Quanto ti amo, il mio tono di voce e la mia espressione facciale, nonché il contesto in cui te lo dico, ti aiuteranno a capire se sono serio o sarcastico: le parole, da sole, non bastano.
Quindi, accompagnare la propria comunicazione digitale con la corretta comunicazione analogica è di sicuro vantaggioso, ed è il motivo per cui utilizziamo le emoticon su WhatsApp.
Provate ad ometterle per una settimana e contate il numero di fraintendimenti ricevuti: Perché hai scritto ‘Non hai capito’ con quel tono? Non sono mica stupido (ma quale tono? È una chat!).
Allo stesso modo, le comunicazioni analogiche (gesti, toni di voce, espressioni verbali, abbigliamento, ma anche immagini, strumenti e altro ancora) sono piuttosto ricche dal punto di vista della relazione (un dolce abbraccio vuole stabilire una relazione positiva tra me e te), ma povere dal punto di vista del contenuto (mi stai abbracciando perché mi ami? O perché per te sono come un fratello? O magari perché ti faccio pena in quanto tutti pomiciano attorno al falò mentre io suono la chitarra? Amore, amicizia o pena?! …nel dubbio continuo a suonare).
Quante volte vi sarà capitato di aver fatto un bel gesto e averlo visto completamente frainteso dagli occhi di chi lo riceveva?
Per fortuna, con un po’ di attenzione e tanta osservazione si può diventare dei comunicatori sufficientemente bravi a cavarsela nelle vicissitudini quotidiane, poiché madre natura ci ha da sempre reso capaci di utilizzare piuttosto bene le nostre capacità comunicative.
Flavio Cannistrà per Psicologia24