Spesso crediamo che l’attaccamento tra madre e bambino sia immediato, inviolabile, scontato.

E che diventare mamma sia istintivo, realizzi un legame speciale, il più forte nel codice dell’amore.

Siamo caricate anche di responsabilità, come se l’equilibrio psichico di nostro figlio e dell’adulto che sarà, dipenda dalle nostre capacità.

Madri acrobate, in equilibrio tra realizzazione lavorativa, dimensione casalinga, familiare e materna.

Oltre che di coppia. Sempre disponibili, sacrificali, pronte a mettere il figlio avanti a tutto. Ci facciamo aspettative irrealistiche su di noi e spesso anche sul partner.

Ti può interessare anche: Come trasmettere regole efficaci ai nostri figli

I miti sulla maternità

I miti sulla maternità ci marcano strette, e quando la realtà non li corrisponde diventa tutto complicato.

Perché a volte il rapporto tanto decantato invece non si concretizza.

Può succedere di non sperimentare da subito quell’appagamento materno di cui si sente tanto parlare, di non essere travolte immediatamente dalla gioia.

Di sentirsi invece esauste, pressate, inchiodate in una quotidianità assillante.

Di ritrovarsi a fissare quell’essere adorabile nell’oscurità, in uno dei tanti risvegli notturni, pensando a quanto saremmo potute stare meglio senza di lui.

Al rapporto libero con la vita perso, al vincolo di questo intruso. Non sempre scopriamo l’idillio atteso ma una schiacciante inadeguatezza e paura di trovarsi coinvolte in un progetto più grande di quanto ci aspettavamo.

La maternità è un’esperienza straordinaria, meravigliosa ma anche sconvolgente.

Ci coglie sempre un po’ impreparate. E a volte ci fa sentire inadatte, oppure scoraggiate e frustrate, in una fase, in un momento, in un periodo della crescita di nostro figlio.

Non sempre stabili, sicure di rispondere adeguatamente ai suoi bisogni.

Si può aver desiderato tanto l’arrivo di un bambino e poi scoprirsi inadatte in questo ruolo, pur amandolo.

Lontane dal modello euforico e orgoglioso della donna che finalmente si realizza.

Può capitare con una maternità adottiva ma anche con un secondo figlio.

Alcuni bambini sono semplicemente meno facili da amare, piagnucolosi e impegnativi.

Anche madri esperte possono scoprire queste sensazioni.

Il tabù della maternità

La maternità e il mito materno

Vergogna e sensi di colpa, ma anche dolore, ci impediscono però di dire queste cose, è più facile ammetterle forse quando il tempo è trascorso.

E’ importante invece rompere il tabù della maternità, rivedere le idee con cui la interpretiamo.

Mettere a fuoco che l’amore materno non è incondizionato.

La gravidanza, il parto non provocano in automatico un’inondazione improvvisa di tenerezza e affetto.

A volte smuovono altre emozioni, come rabbia ad esempio, paura, sensazione di non riuscire.

I piccoli sono molto esigenti, e hanno il potere immenso di evocare emozioni forti e primitive.

Per innamorarsi può volerci tempo. E anche innamorate può capitare di sentirsi arrabbiate, esauste. In qualche momento disperate, depresse, oppure apatiche.

Accade in ogni relazione significativa e intima.

Si parla spesso di depressione post partum, di questo periodo critico della mamma successivo alla nascita, allora in questa cornice pseudo psicopatologica tendiamo a scusare eventuali sensazioni di fastidio, di demotivazione verso il neonato.

Sull’ambivalenza dell’amore materno invece si racconta poco.

Rifuggiamo l’idea che una madre, oltre all’amore, possa essere attraversata anche dal rifiuto per il proprio bambino.

Come spiega lo psicoanalista Umberto Galimberti nel suo libro I miti del nostro tempo, il rapporto madre-figli è considerato qualcosa di sacro, indiscutibile pur sapendo che l’amore materno però, non è mai solo amore.

Per questo abbiamo bisogno di normalizzare l’idea che l’attaccamento possa essere un processo lento.

Ammettere di essere ambivalenti verso questo essere così importante, di provare sentimenti, a volte, che non possiamo spiegare logicamente a noi stesse. Di pensare l’inadeguatezza come parte della genitorialità più sana.

Portare in superficie certi contenuti, dare loro riconoscimento e parola, può diluirli.

Dovremmo riconoscere anche la possibilità di chiedere aiuto, rimanere sole può renderci disperate.

In un certo senso come madri abbiamo bisogno di essere a nostra volta accudite, per accudire bene.

Negli sforzi di dimostrare le nostre competenze a volte ci disconnettiamo dagli altri, perdiamo preziose occasioni di relazioni nutrienti, di confronti rasserenanti, di solidarietà, di possibilità di esprimere la nostra inadeguatezza, reale o immaginata.

Per amare, evidentemente ci si deve sentire anche inadeguate

E’ l’inadeguatezza alla fine che ci rende pronte a reagire, intervenire, sintonizzarci. Se non ci sentissimo in parte insicure, rischieremmo di trascurare nostro figlio.

Forse bisogna lasciare che i sentimenti di inadeguatezza materna facciano il loro lavoro, affiorino nel loro disordine, si piazzino davanti le nostre intenzioni, ci obblighino a pensare.

Brunella Gasperini per Psicologia24