Elena sembrava disperata, il suo pianto era lungo e silenzioso, non riusciva a parlare e la sua postura era rannicchiata sulla sedia, braccia conserte e testa bassa, come se avesse già sentito tutto e non poteva ascoltare di più.
Suo marito – Alfonso – la guardava con preoccupante angoscia, le diceva che non gli importava, che potevano essere comunque felici insieme, che non era quel bambino a unirli, che la loro coppia era più forte e avrebbe sostenuto anche questa tempesta, come tutte le altre. Tuttavia il suo tono era stridulo e poco credibile.
Inoltre, le sue parole così razionalmente rassicuranti, non alimentavano il vuoto che Elena provava, erano lontane come un’eco distante anni luce e anzi, tale percezione uditiva faceva brillare una luce nei suoi occhi, non propriamente rassicurante.
Sembrava un guizzo di rabbia, sarcastico e dolente, come solo una donna tradita e incompresa può avere.
Elena si sentiva tradita dalla vita che l’aveva resa sterile e dolorosamente lontana dal resto del mondo, anche dal marito con cui aveva trascorso pianti e risate in passato.
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Il progetto figlio
Il desiderio di un figlio, anche dopo qualche tempo dalla costituzione della coppia, non implica una priorità perché percepito lontano. Viceversa, si investe sulla coppia stessa, sulla realizzazione personale (studio/lavoro), l’acquisto di casa, la definizione di confini con le rispettive famiglie d’origine.
Sembra quasi come se il desiderio di un figlio arrivi improvvisamente da lontano, come il fischio di un treno che si avvicina a velocità: da impercettibile, diventa incessante, frustrante se non arriva quando la coppia si sente pronta!
La coppia pertanto inizia ad immaginare questo scenario e a lavorare per la realizzazione del progetto figlio. A volte, l’obiettivo del progetto si raggiunge in poco tempo. Altre volte, invece passano i mesi senza alcun risultato e la coppia è spinta a richiedere un approfondimento e a sottoporsi ad una serie di esami concezionali.
Molto spesso accade che – dopo aver ultimato tutti gli accertamenti del caso, la coppia si trovi ad affrontare una diagnosi di sterilità sine causa o idiomatica, ossia non motivata da alcun elemento organico.
Altre volte, invece le cause sono più propriamente organiche ma richiedono ugualmente – come le precedenti – un supporto psicologico della coppia, al fine di ridefinire un progetto nella condivisione e nell’empatia.
Le emozioni negative quando i figli non arrivano
Le coppie che si trovano a non ultimare il progetto figlio entrano in un circolo vizioso da cui le emozioni più frequenti sono: rabbia, senso di inadeguatezza, paura del giudizio, mortificazione, senso di colpa.
Perché proprio a noi?
Che senso ha la nostra coppia ora?
Cosa dirà la gente?
Perché abbiamo aspettato così tanto?
I nostri amici, Elena e Alfonso, ripetevano con angoscia queste frasi, non ascoltavano, non si guardavano.
La coppia era in crisi!
Non frequentavano ormai più gli amici perché, fatalità, tutti intorno a loro erano felici: alcuni aspettavano un figlio, altri lo avevano già. Loro sì, che erano normali e fortunati!
Certo, erano felici per il loro amici, ci mancherebbe, ma il dolore e la rabbia si impossessavano dell’altra metà del loro cuore e la nostra coppia non poteva far altro che esprimersi con disprezzo nei loro confronti, pur amandoli.
Questa ambivalenza diventava talmente insopportabile da poter essere risolta solo evitando l’incontro.
Quando le famiglie d’origine hanno saputo che non avrebbero potuto avere un nipotino, immediatamente hanno proposto l’adozione, come superamento della crisi e sublimazione della sterilità.
Inizialmente, Alfonso ed Elena hanno valutato questa proposta con un immaginario diverso, avrebbero potuto essere genitori comunque, ma durante il percorso psicoterapeutico hanno compreso successivamente che un figlio non può arrivare per aggiustare.
Dal lutto alla rinascita
In questa fase di pianto e disperazione, di lutto per un bambino che non potrà mai nascere dalla propria pancia, l’adozione non è la soluzione.
L’impossibilità di avere figli dovrà essere affrontata come la morte di un congiunto, richiede risposte sane e naturali: negazione, rabbia, protesta, disperazione, rassegnazione.
Sono queste le reazioni che tutti noi abbiamo di fronte ad un evento luttuoso che ci coglie impreparati e Alfonso ed Elena le hanno vissute tutte, coraggiosamente, pensando a volte di non farcela, di non avere più la forza di piangere, ma comprendendo che occorreva passare aldilà del fiume per uscire dal guado e solo dopo, avrebbero trovato la serenità.
La coppia può uscirne se riesce a trovare dentro di sé altri tipi di fertilità e in questo diventa fondamentale il percorso psicoterapeutico.
Molte coppie naufragano durante il guado. Se la propria coppia risperimenta dentro di sé i motivi profondi che l’ha unita, capirà che un figlio è un completamento e non l’essenza che la tiene insieme.
Molte coppie riscoprono così il piacere di stare insieme, di ri-progettare e lasciano la propria impronta in attività sociali, culturali, professionali, di volontariato… diventandone genitori.
Solo dopo aver raggiunto questo equilibrio, si può essere un nido accogliente per un bimbo adottato, già portatore di sue ferite e bisognoso di una coppia che ha smesso di piangere!
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