In maori, lingua polinesiana parlata in Nuova Zelanda, la parola “autismo” si pronuncia “takiwatanga”, che tradotta vuol dire “nel suo tempo e nel suo spazio”. Il tempo e lo spazio di una persona autistica sono caratterizzati da una profonda variabilità ed è proprio tale variabilità – soprattutto nella complessità ed eterogeneità della presentazione sintomatologica – la ragione sottostante le difficoltà a raggiungere un consenso sulla definizione di autismo. Nell’ultimo decennio la ricerca sull’autismo si è contraddistinta da una crescita sempre più esponenziale di studi neuroscientifici, anche se ciò non si è ancora tradotto in una conoscenza precisa della natura di questo disturbo e nell’individuazione di un trattamento risolutivo.

Il Prof. Davide Viola (Psicologo, Psicoterapeuta e Docente di Sostegno nella scuola pubblica) ha scritto il libro “Nel Suo Tempo e nel Suo Spazio” (pubblicato da Edizioni Galton). Nella premessa del libro il Prof. Viola si interroga se sia preferibile (se si vuole utilizzare un linguaggio inclusivo) utilizzare la terminologia “persona con autismo” o la terminologia “persona autistica”.

Il Prof. Viola scrive: «La costruzione di un contesto inclusivo richiede il ricorso a un linguaggio inclusivo che aderisca alle nuove visioni delle disabilità, delle vulnerabilità, delle condizioni di difficoltà, aiutando a superare immagini stigmatizzanti e distorte.
Pertanto, nella stesura di questo testo ci siamo tutti interrogati se fosse più corretto utilizzare il termine “persona con autismo” o “persona autistica”. Il primo termine è un esempio di person-first language, il secondo di identity-first language. “Persona con autismo” mette al primo posto la persona e poi come caratteristica la disabilità, in questo contesto l’autismo. È utilizzato per rispettare l’umanità delle persone, mettere al centro la persona nella sua essenza ed evitare quel processo di de-umanizzazione che riduceva la persona alla sua disabilità. “Persona autistica” considera la disabilità come parte integrante della propria identità e si basa sull’idea del riconoscimento della disabilità come categoria identitaria: la disabilità indica l’appartenenza a un ampio gruppo culturale. Dunque, il nostro interrogativo è stato: quale delle due tipologie di linguaggio viene preferito dalla comunità delle persone autistiche? Ci è venuto in aiuto un interessante articolo pubblicato da Fabrizio Acanfora (2020), neurodivergent advocate, divulgatore, scrittore e docente universitario. A seguito di un’indagine sull’argomento, ha rilevato che il 79,8% delle persone autistiche preferisce essere definita autistica, utilizzando l’identity-first language, il 15,5% non ha espresso preferenze, il 4,7% preferisce “persona con autismo”, utilizzando quindi il person-first language. Per questo motivo abbiamo deciso di utilizzare il termine “persona autistica” o “bambino autistico”: l’autismo non è qualcosa da eliminare o da riparare, ma è qualcosa che definisce una persona insieme a tutte le altre caratteristiche, senza alcun giudizio morale o di valore».