Ci invade saccheggiando, facendo razzia di entusiasmo, piacere, di tutto ciò che trova di vitale.

Deforma ricordi, pensieri, idee. Toglie profondità ai vissuti, alle sensazioni.

Restringe il modo di vedere le cose, di interpretarle. Si insinua nella vita in modo silenzioso acquisendo potere, stravolgendo ogni relazione, spegnendo tutto. Quando ci assale, arriva il buio.

E non c’entra la forza di volontà. La depressione serra in pensieri costanti, ossessivi, negativi.

Nelle forme più gravi, contagia i sistemi relazionali nei quali si infiltra trascinando nelle sue morse anche le persone vicine, tra sensi di impotenza, inadeguatezza, frustrazione, rabbia.

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La depressione, male diffuso

Le statistiche dicono che in Italia ne soffre circa il 7% della popolazione, ma alcune stime vanno oltre il 12%.

La depressione risulta il problema di salute mentale più diffuso al mondo, una priorità per la salute globale.

L’ultimo rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sull’utilizzo dei farmaci mostra che il consumo di antidepressivi è aumentato nel corso degli anni. Nel nostro Paese un terzo dei depressi assume farmaci.

I dati sono esorbitanti. E probabilmente le diagnosi sovrastimate. È comunque una malattia misteriosa.

La scienza, infatti, non sa trovare una spiegazione piena per questo disturbo, il secondo più invalidante al mondo dopo le malattie cardiache.

Esistono decine di tipi di antidepressivi, tra i quali si ricorda il Prozac, il farmaco più annunciato sul pianeta, immesso sul mercato 25 anni fa e utilizzato oggi da circa 40 milioni di persone.

Ma per quanto siano indispensabili in alcune condizioni cliniche, così come superflui per altre, gli psicofarmaci non rendono felici le persone.

Anche la ricerca di un difetto a livello cerebrale è fallita, non esistono test biologici per individuare la depressione, non sono stati scoperti geni per prevederla.

Sappiamo che coinvolge molti sistemi compreso quello immunitario, che interferisce con il sonno, con l’appetito, che interessa umore, pensieri e corpo, che si accompagna ad altre malattie, quali cancro, diabete e malattie cardiache.

Che accelera addirittura i cambiamenti della massa ossea che portano all’osteoporosi.

Ma non si sa dove stia la depressione. Non è una malattia specifica, piuttosto un disturbo della persona, un disagio esistenziale. È l’anima ad essere in ostaggio.

Anche gli studi delle moderne neuroscienze stanno rivisitando il concetto di depressione, confermando che non si può spiegare o trattare solo in relazione ai livelli dei neurotrasmettitori.

Si è visto che, quando ricorrente, è una malattia neurodegenerativa in grado di distruggere le connessioni delle cellule nervose, di creare blocchi neurali nel trattamento delle informazioni.

Quando siamo depressi diminuisce la capacità plastica neuronale, quella meravigliosa potenzialità che abbiamo di creare nuovi percorsi neurali per imparare, cambiare e affrontare nuove sfide.

Si è visto inoltre che stress precoci possono alterare i circuiti nervosi che controllano le emozioni, convalidando la visione psicoanalitica della predisposizione alla psicopatologia adulta partendo dai primi eventi negativi.

Recenti ricerche mettono in discussione anche i dati epidemiologici relativi alla supposta prevalenza di depressione nelle donne rispetto agli uomini, con tassi da due a tre volte superiori.

Un lavoro condotto dall’Università del Michigan, negli Stati Uniti, ha scoperto infatti che la frequenza dei disturbi depressivi è la stessa tra maschi e femmine.

Piuttosto esistono differenze di genere nell’espressione sintomatica

I due sessi manifestano il disturbo in modo diverso: le donne attraverso pianto e insonnia, gli uomini sotto forma di rabbia, aggressività, abuso di sostanze, sintomi non compresi tra i criteri diagnostici. Gli uomini inoltre sono meno propensi a farsi aiutare.

La tristezza non è da debellare

Depressione: un aguzzino misterioso

Inoltre, è importante sottolineare che non sempre una condizione definita come depressione effettivamente lo è. La tristezza non va in ogni caso fermata. La cura del malessere non sempre passa dai farmaci.

Sentirsi giù, delusi, tristi, demoralizzati e disperati in seguito ad una perdita o ad un avvenimento che ci tocca profondamente, ad esempio, non vuol dire soffrire di depressione.

Nella nostra cultura c’è una marcata insofferenza al dolore, etichettato come malattia da risolvere e intorpidire.

E manca un’alfabetizzazione degli stati d’animo che sostenga la consapevolezza della sofferenza, esperienza normale nella genitorialità, nel matrimonio, nel lavoro, e in ogni altra attività.

L’umore basso va in effetti interpretato anche come un ritiro per risparmiare risorse fisiche e psichiche, per evitare l’impegno in sforzi inutili, un’occasione per ripensarsi, ritrovarsi, cambiare strada.

Fa parte dell’economia del mondo emotivo. Un modello di comportamento adattivo, sano, necessario che a volte però, se sostenuto nel tempo, diventa inappropriato.

È quando il dolore si complica e arriva a danneggiare in modo pervasivo il funzionamento di una persona in ogni suo aspetto che diventa necessario intervenire per impedire la spirale della sofferenza cronica, ricordandosi che è possibile risolverla non solo con i farmaci ma anche con la psicoterapia.

Brunella Gasperini per Psicologia24