Emotive, instabili, fragili, impressionabili, ansiose. Umorali.

È così che noi donne siamo viste comunemente, soprattutto quando si parla di sensibilità femminile. Sostanzialmente qualcosa di inefficace, a volte anche ridicolo.

Un modo di essere che ci relega al mondo degli affetti e dei sentimenti: il potere maschile sta fuori, nella società, nel lavoro, quello delle donne dentro, nell’ambito domestico, nelle relazioni intime.

Le femmine devono imparare a connettersi agli altri e a mantenere i rapporti per la propria autostima.

Questioni di potere e controllo sono invece rilevanti per gli uomini che spiegano sé stessi in termini di autonomia e status sociale.

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Gli stereotipi di genere

Vecchi miti raccontano che le femmine sono tendenzialmente soggette ad attacchi di tristezza, rabbia, disperazione, senza vere ragioni.

Incapaci di gestire impeti emotivi, inclini a sperimentare una gamma più grande, intensa e frequente di sensazioni (a parte la rabbia, riservata prevalentemente ai maschi).

È stato dimostrato che i bambini in età prescolare già possiedono queste convinzioni stereotipate. Differenze emotive che non si registrano effettivamente nei piccoli, sensibili allo stesso modo.

Riguardano anche l’idea che i soggetti di sesso femminile piangano di più. Neonati e bambini in realtà lo fanno con la stessa frequenza, è dalla pubertà che iniziano le differenze.

Il pianto maschile è del resto culturalmente scoraggiato, come lo è anche quello femminile nel mondo degli affari, interpretato come segno di inefficacia e debolezza.

Forse la percezione delle emozioni di ognuno di noi può riflettere queste credenze socioculturali.

Influenzare la libertà di esprimere ciò che sentiamo, sottostimando o sopravvalutando i propri vissuti in linea con il ruolo sociale attribuito. In questo senso le emozioni hanno un valore diverso tra i generi.

La donna può sintonizzarsi di più su quello che sente, l’uomo invece soffocarlo.

Noi partecipiamo, pensiamo di più alle emozioni, tendiamo a condividerle in modo frequente con altre persone, diamo loro parola. Tutte esperienze che portano a realizzare una visione elaborata, a volte complicata, di noi stesse.

La scienza sconferma gli stereotipi

La scienza comunque smentisce gli stereotipi. Le donne non sono più emotive degli uomini.

Piuttosto è stata dimostrata la differenza nel modo in cui i due generi rispondono emotivamente alle situazioni.

Un recente studio del Dipartimento di Psicologia dell’Università del Maryland a Baltimora, Usa, ha sfatato il mito che le donne sappiano gestire meno quello che sentono rispetto all’altro sesso.

I risultati evidenziano che le donne hanno livelli leggermente più elevati di senso di colpa e vergogna ma praticamente identici agli uomini di orgoglio e imbarazzo.

Sembra il dominio delle emozioni negative semmai l’aspetto sul quale si distinguono i sessi.

Studi in culture diverse rivelano infatti che emotività negativa e ansia sociale sono riferite soprattutto da soggetti di sesso femminile anche se questi gap inter-sesso sono relativamente piccoli.

Piuttosto si fanno notare i divari, leggermente più ampi, negli indici di ansia sociale e di emozioni negative, soprattutto nelle società dove c’è una maggiore parità di genere.

Vale a dire che nei paesi dove la donna gode di maggiore indipendenza e uguaglianza nella sfera lavorativa, paradossalmente soffre di più di depressione e disagi emotivi. Ma è un argomento controverso sul quale la scienza sta dibattendo.

Piccole differenze sono state riscontrate inoltre rispetto al modo di far fronte agli eventi della vita quotidiana e alla capacità di riconoscere ed elaborare le sensazioni negative negli altri (empatia emotiva). Ad essere maggiormente empatiche sono le donne, tuttavia gli uomini sono più bravi a gestire i momenti angoscianti.

Una curiosità interessante riguarda poi l’emotività negativa nella coppia: lei tende a segnalarla quando si sente respinta dal partner, lui se la partner chiede più intimità.

Tuttavia, queste differenze sono abbastanza moderate.

Non bastano a dimostrare la provenienza dei sue sessi da pianeti diversi, forse solo da quartieri vicini. E se vogliamo tingere di rosa o celeste la sensibilità, abbiamo bisogno di tirare fuori motivi culturali ed educativi di genere.

Se la sensibilità è un aspetto caricato di tratti negativi a livello sociale – infatti, nella nostra cultura sono considerate importanti caratteristiche lontane da delicatezza, gentilezza e attenzione verso gli altri – in realtà è un punto di forza nella nostra vita.

Vuol dire partecipare con maggiore energia agli avvenimenti, avere una soglia più bassa della capacità di riconoscere gli stati d’animo, arrivare ai propri vissuti.

Essere persone più intense, profonde e comunicative. Avvantaggiate, meglio equipaggiate per muoversi autenticamente nel mondo delle relazioni.

Brunella Gasperini per Psicologia24