Siamo vulnerabili.

Per molti versi attaccabili, pur nella stabilità.

Il dolore, la sofferenza, la paura ci appartengono, per quanto tentiamo di sfuggirli.

La fragilità fa parte di noi, a tratti ci rende insicuri, ci fa temere di non reggere, talvolta desiderare di scomparire, pur di evitare il dolore.

Cerchiamo appigli ai quali aggrapparci ma a volte la tenuta non regge, ci sfugge e allora rimaniamo sospesi nel nulla, dondoliamo in balia delle correnti.

Perdiamo gli ancoraggi, i riferimenti, le coordinate della rotta.

Non siamo più sicuri, attaccati, legati. Ma sospesi nel nulla, indifesi. Persi.

Di questo ci parla l’artista David Bowie, scomparso da poco, nel suggestivo brano del 1969 Space Oddity, entrato nell’antologia della musica pop.

Il viaggio spaziale di una piccola astronave evoca l’affondare nella nostra interiorità, nel nostro universo profondo.

Nell’infinito, nel buio, in una dimensione senza contorno, confini, qualcosa di inconcepibile per la mente. L’inesplorato dentro di noi.

Il brano racconta in musica come, in alcuni momenti, finiamo per confonderci, perderci, andando verso il nulla.

Lontani dalle certezze, indifesi, entriamo in orbita con le insicurezze, rimaniamo sospesi nel vuoto, andiamo alla deriva. Disconnessi da tutto.

Perdiamo il controllo, di noi stessi e delle cose. E questo ci rende inquieti, impotenti.

Planet Earth is blue, and there’s nothing I can do (il pianeta Terra è blu e non c’è niente che possa fare) ripete il Maggiore Tom dalla navicella che fluttua nel vuoto. Ma non ci arriva il suo sgomento.

Forse vuole dirci che a volte bisogna abbandonarsi al dolore per farlo andare via, anche se è difficile.

Senza temere che le circostanze cambino, cancellando l’idea che le cose siano per forza in un dato modo. Ed essere flessibili nei comportamenti, nei sentimenti, nei pensieri.

La piccola astronave naviga nello spazio per poi scomparire ma Space Oddity non è un brano disperato.

L’astronauta compie un viaggio interiore che evidentemente siamo chiamati a fare. Facendoci capire che in alcuni momenti perdersi è necessario per ritrovarsi.

Che abbandonarsi, stare in contatto con la propria vulnerabilità, invece di contrastarla, può servire a recuperare gli equilibri.

Che alienarsi, nel senso di allontanarsi, prendere le distanze, vedere da un’altra prospettiva, può servire per analizzare le cose diversamente.

And I’m floating in a most peculiar way. And the stars look very different today (sto fluttuando nello spazio in un modo davvero singolare. E le stelle hanno un aspetto molto diverso oggi).

Perché immergersi nelle nostre emozioni, spingersi oltre, perdere la gravità che ci attacca alla terra, vuol dire anche alleggerirsi.

Uscire dal campo magnetico che ci tira verso il basso, sentirsi senza peso, morbidi nell’universo interiore proprio come un astronauta nello spazio.

E guardare da vicino le nostre ferite, la nostra vulnerabilità – paura, vergogna, imbarazzo, rifiuti, perdite, solitudine, fallimenti, inadeguatezze -, ci regala il potere di essere attaccabili, di capire come siamo veramente.

Siamo portati invece a nascondere il dolore, anche a noi stessi, per paura di doverlo affrontare, di allontanare gli altri, di essere contagiosi o solo di sembrare ridicoli. Attiviamo automaticamente la modalità auto-protezione.

Invece un passo della nostra forza è proprio la consapevolezza di potersi perdere, esplodere, disintegrarsi. Scoprire la propria vulnerabilità.

Denunciare questo nucleo fragile in relazione al quale sviluppiamo le difese più forti. Che ci spaventa tanto ma che invece è il centro delle emozioni, il punto di decollo per inoltrarci nelle esperienze più significative.

Il coraggio, alla fine, di essere sé stessi. Di poter riconoscere ed esprimere il proprio dolore, una parte essenziale di ciò che siamo. Non c’entrano niente debolezza e sottomissione.

Tutti i sentimenti sono pieni di dubbi e pericoli. Proprio quando ci esponiamo emotivamente, soprattutto nei coinvolgimenti più intensi, avvertiamo sempre incertezza e rischio.

La vulnerabilità è compagna di autenticità, amica di comprensione, intimità e relazione. Paradossalmente ci porta in posti sicuri.

Though I’m past one hundred thousand miles I’m feeling very still. And I think my spaceship knows which way to go (Malgrado sia lontano più di centomila miglia, mi sento molto tranquillo, e penso che la mia astronave sappia dove andare). Anche questo ci dice il Maggiore Tom prima di perdersi nello spazio.

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