Nel mondo, per milioni di donne, ragazze e bambine la violenza fa parte della vita di tutti i giorni.
Sotto forma di stalking, maltrattamenti, abusi sessuali o pratiche culturali patriarcali come mutilazione dei genitali, aborti forzati, matrimoni precoci.
Oppure di trascuratezza che non di rado porta alla morte, come accade in Cina e India con l’uccisione selettiva di neonati femmina.
È di questi giorni la discussione di un disegno di legge in Turchia che depenalizza lo stupro alle minorenni, anche giovanissime, se l’aggressore è disposto a sposare la vittima. Fortunatamente il disegno di legge è stato ritirato.
Ma è importante citarlo per capire di cosa si discute in un parlamento a due ore di volo dall’Italia.
Non occorre però andare lontano per trovare altre atrocità.
Aggressione e omicidio di una donna, in quanto donna, per mano di un uomo, in quanto uomo, sono realtà che ci coinvolgono da molto vicino.
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La violenza sulle donne quotidiana
Nella nostra cultura, sebbene via sia una visibile emancipazione delle donne, ben poco si rinnovano i canoni di genere: in modo desolante l’idea della femmina è ancora legata a possesso e utilizzo, a oggetto di piacere.
Nascosti, ma a volte non così tanto, persistono atteggiamenti che banalizzano e per quanto paradossale sostengono la violenza sulle donne.
Nel modo in cui viene raccontata, ad esempio. Come sono riportati i fatti è molto importante, l’uso delle parole determinante.
Perché è diverso dire Maria è stata vittima di violenza, oppure Maria è stata violentata da Giovanni, oppure Giovanni ha violentato Maria.
Quando si parla di femminicidio, termine ormai consueto nel linguaggio giornalistico, sono le identità femminili ad essere delineate, e sfocate quelle degli assassini.
Ci ricordiamo di agghiaccianti fatti di cronaca come quello che ha coinvolto Sara a Roma, data alle fiamme, Carmela a Palermo uccisa a coltellate, Carla a Pozzuoli incinta e bruciata viva (fortunatamente sopravvissuta). Abbiamo presente in molti casi il loro volto.
Ma ci ricordiamo i nomi e i lineamenti dei loro assassini? Chi sono questi maschi, dove sono adesso, quale la condanna a loro assegnata?
Non lo sappiamo, sono stati messi in secondo piano, tolti di scena.
Si tende ad alzare un silenzio dannoso sui responsabili che non aiuta a vedere però le cose come sono e ad affrontarne le cause dalla radice.
Parlare di violenza domestica contro le donne o femminicidio significa omettere i colpevoli. E creare equivoci.
Forse meglio parlare di Uomini violenti contro le donne.
Non per incitare guerra tra i sessi ma per coinvolgere tutti i protagonisti di questo agghiacciante fenomeno, capire i meccanismi psicologici, sociali e culturali che ne stanno alla base.
Un impegno che dovrebbe interessare proprio gli uomini.
Perché se è vero che la violenza fisica e sessuale vede quasi esclusivamente l’uomo come autore di atti contro le donne – quadro connotato e forte, confermato dagli studi provenienti da tutto il mondo – maschio non vuol dire essere violento e assassino.
Alcuni atteggiamenti impliciti nel sentire comune indirettamente avvantaggiano la violenza di genere.
Succede quando:
La giustifichiamo considerando l’uso dell’aggressività da parte di un uomo nei confronti di una donna come espressione legittima di potere, di dominio maschile, risposta adeguata in alcuni casi alle trasgressioni della partner.
La scusiamo pensando ad esempio che il raptus di gelosia sia una debolezza, e alleggerendo così la responsabilità dei colpevoli. Oppure credendo che gli uomini siano biologicamente predisposti, impossibilitati a controllare l’impeto sessuale. Immaginando inoltre l’abuso proprio di individui malati, strani o sotto effetto di sostanze. Mentre i dati rivelano tutt’altro.
La nascondiamo parlando solo delle barbarie più clamorose e sorvolando invece sulle forme sociali ed emotive di potere e di controllo che le accompagnano. Non dando attenzione ai tentati omicidi e ai suicidi legati a situazioni di abuso o ai cosiddetti orfani speciali (figli di madri barbaramente uccise). Non affrontando una dimensione sommersa fatta di forme altre di violenza come abuso, sopraffazione, soggezione, terrore, disparità di trattamento.
La banalizziamo pensando che l’aggressione possa starci, tutto sommato, in una coppia. Il legame tra mito romantico dell’amore e violenza – impregnato sulla passione e sulla gelosia – è ancora molto diffuso.
La minimizziamo dicendo che sono episodi isolati, che a noi non può accadere, che i dati relativi agli abusi sono esagerati, che le donne inventino storie di stupro.
Spostiamo la colpa su chi subisce, affermando che sono le donne a provocare, a cercarsela, a vestirsi in modo provocatorio, ad andare in giro da sole, a frequentare individui sbagliati, a fidarsi di mariti inadatti, e via con un elenco infinito di ovvietà.
Proviamo solidarietà con l’aggressore. Secondo alcuni studi scientifici, in media gli uomini (soprattutto coloro che sostengono i ruoli di genere tradizionali) rispetto alle donne tendono ad essere più solidali verso altri uomini che commettono violenza contro le donne.
La letteratura scientifica indica che in media gli uomini hanno più probabilità di essere in accordo con i miti che incoraggiano l’aggressività, mostrando meno empatia con la vittima, tendono a minimizzare i danni associati alle aggressioni fisiche e sessuali e ritengono che i comportamenti abusanti siano meno dannosi rispetto a quanto credono le donne.
Brunella Gasperini per Psicologia24